Ce lo spiega Loris Stella, ft, uno dei massimi esperti , autore di pubblicazioni e studi sul tema 

La realizzazione delle bende adesive, ciascuna con specifiche proprietà, ha condizionato l’evoluzione delle tecniche di bendaggio (guarda la demo). Si hanno notizie di preparati collosi spalmati sulle bende a partire dal XIX secolo.

Qual è il senso e l’utilità di una benda adesiva?

 

Tutti coloro che hanno provato a bendare, o sono stati portatori di un bendaggio tradizionale, possono ben comprendere il senso di inutilità che spesso ne deriva.

Escludendo alcuni tipi di articolazione, la cui morfologia facilita l’ancoraggio delle bende, sappiamo poter contare sulla stabilità e utilità del bendaggio solo per poche ore, a meno di non rimanere completamente immobili.

È quindi per avere un bendaggio stabile nel tempo, anche rispetto a un utilizzo dinamico, che la ricerca ha sviluppato materiali adatti allo scopo. L’utilizzo di una benda adesiva non costituisce tuttavia, di per sé, un bendaggio funzionale, perché se non vengono rispettati i criteri della metodica e della tecnica proposti in epoca moderna si rischia di spacciare un prodotto mediocre per il massimo ritrovato terapeutico.

Adoperando una terminologia matematica si può dire che l’adesività di una benda non è una condizione sufficiente, ma solamente una condizione necessaria.

Il concetto di bendaggio funzionale, infatti, ha subìto un percorso di ricerca approfondito, di pari passo con l’evoluzione tecnologica dei materiali utilizzati. Il bendaggio, solo in un primo tempo, si è adattato ai materiali che venivano proposti, diventando, in un secondo tempo, uno dei motori trainanti la ricerca.

All’inizio del XXI secolo, l’industria realizza molte varietà di bende in modo da assecondare la fisiologia delle strutture anatomiche da bendare, in relazione al tipo di proposta terapeutica (ortopedica, vascolare, neurologica o di altro tipo); da qui il passo per una rapida crescita evolutiva è stato breve.

Tornando un attimo indietro nel tempo, ricordiamo che le prime bende utilizzare con una finalità funzionale non possedevano elasticità. Per ottenere l’effetto di stabilità meccanica per alcune articolazioni caviglia e ginocchio) i trainer di basket statunitensi, negli anni ‘50, utilizzavano un cerotto adesivo inestensibile, dando vita a quello che ancora attualmente è denominato taping, erroneamente confuso con il bendaggio funzionale. Esistono invece differenze sostanziali dettate dal fatto che le applicazioni funzionali di una benda inestensibile sono molto limitate e per evitare lesioni cutanee il taping ha sempre avuto bisogno di un materiale interposto tra la massa adesiva de la cute.

Quando il taping arrivò in Europa, le scuole olandesi e italiane svilupparono l’attuale idea di bendaggio funzionale, arrivando a individuarne gli scopi riassunti nella seguente definizione: il bendaggio funzionale deve proteggere l’unità motoria e/o le strutture capsulo-legamentose lesionate salvaguardando la libertà funzionale delle strutture sane non coinvolte nell’evento traumatico. Per ottenere questo risultato venne spontaneo ridurre l’apporto di materiale inestensibile, portando a diretto contatto della cute la massa adesiva di una benda e mettendo a punto uno standard di costruzione applicabile a tutte le strutture lesionate.

Lo standard è costituito da:

  1. Un bendaggio base realizzato con una benda elastica, mono-estensibile e bi-estensibile, avente minime funzioni meccaniche di stabilità e scarico funzionale sommate a una più importante elasto-compressiva;
  2. Un supporto di scarico o di sostegno specifico per le strutture traumatizzate, ottenuto indicativamente con materiale anelastico per le lesioni capsulo-legamentose e muscolari, elastico per le lesioni tendinee.

La differenziazione delle bende garantisce un maggiore rispetto della fisiologia dei tessuti. Con il taping era impensabile poter limitare l’azione di un tendine rispettando la fisiologica elasticità; alcune sue applicazioni comunque sono ancora valide e proposte come eventuali soluzioni.

La spinta data dalla necessità di miglioramento della tecnica del bendaggio adesivo impose regole precise. Con l’approfondimento della conoscenza della biomeccanica articolare, siamo in grado di confezione una protezione funzionale praticamente per qualsiasi patologia dell’apparato locomotore. Tuttavia il grado di importanza della lesione, quindi la diagnosi, deve essere rispettato, al fine di evitare il pericoloso errore di sopravvalutazione della metodica.

L’esperienza e l’evoluzione dei materiali ci permette di superare le difficoltà causate dall’idea, se vogliamo rivoluzionaria, di creare una protezione costante nel tempo, per strutture in movimento fortemente condizionate dal dolore. La morfologia dei segmenti bendati può diventare un ostacolo alla costruzione del supporto adatto, ma un operatore esperto, adeguatamente formato e addestrato sarà in grado di superare qualsiasi difficoltà.

Siamo di fronte a un prodotto sofisticato, molto evoluto rispetto alla cieca e totale protezione di un apparecchio gessato, più sicuro di una semplice elasto-compressione fornita dai bendaggi, ma altrettanto drenante.

Figurativamente possiamo immaginare il bendaggio funzionale come l’equivalente della sutura esterna di una lesione non visibile, che comporta una serie di evidenze cliniche che rappresentano una sfida per le proprietà del bendaggio funzionale. L’ematoma, l’emartro o l’edema risultano contrastati dall’azione elasto-compressiva che ha un ruolo anche antalgico per il veloce riassorbimento degli elementi enzimatici irritanti per i tessuti. L’effetto antalgico più importante, di immediata realizzazione, è ottenuto dallo scarico funzionale o dal sostegno articolare creato dalla costruzione del bendaggio; inoltre il mantenimento del movimento condiziona una riparazione cicatriziale normotrofica e non adesa, garantendo così un periodo di recupero ridotto rispetto alle terapie immobilizzanti.

Non esiste tutore che in fase acuta possa garantire una tale somma di vantaggi, tenuto conto anche che il bendaggio è sempre costruito a misura sul distretto anatomico interessato, mentre i tutori preconfezionati hanno dimensioni che coprono 2-3 taglie, con qualche problema di stabilità per i meno fortunati.

Qualsiasi cosa avvolga una parte sofferente, evitando l’effetto “laccio”, conferisce un soggettivo senso di protezione, con una sensazione di miglior controllo motorio della struttura traumatizzata. Questo è spiegato da studi che dimostrano come, stimolando la cute in un modo qualsiasi, si possano generare vari tipi di risposte riflesse. I più importanti nel nostro caso sono due:

  1. Una facilitazione neuromuscolare, un’attivazione della muscolatura sottostante il tratto di cute stimolato, mediata dal riflesso esterocettivo (effetto “cerotto”) che una benda, adesa alla cute di un segmento corporeo in movimento, comporta. Studi stabilometrici hanno dimostrato un miglior controllo dell’equilibrio ipotizzando una esaltazione della propriocettività;
  2. Un effetto decontratturante indotto dalla ripetitività degli stimoli tangenziali cutanei che portano un muscolo in stato di spasmo antalgico verso uno stato di attività tonica normalizzata, risolvendo gli aspetti collaterali e compensativi di una lesione.

Gli effetti riflessi giustificano la sensazione di sollievo e migliorato controllo che la tensione locale cutanea crea sulle strutture traumatizzate. Qualsiasi mezzo utilizzato per la protezione genera questa tensione, ma le bende adesive ottengono le risposte riflesse più efficaci.

Sfruttando al massimo il concetto d’effetto “cerotto” sommato a un effetto meccanico più che ottimale arriviamo alla forse meno conosciuta tecnica dello strapping. Questa metodica viene utilizzata in fasi successive a quella terapeutica, prerogativa del bendaggio funzionale, ed è da considerare come un bendaggio riabilitativo-preventivo. La sua costruzione prevede esclusivamente una disposizione di staffe elastiche adesive disposte secondo un principio meccanico di scarico o di sostegno degli elementi traumatizzati. Si ottiene in questo modo un supporto meccanico, esaltato dai meccanismi riflessi cute-muscolo visti precedentemente, dando origine a una tecnica rieducativa che utilizza i vincoli muscolo-cutanei. In tal modo si facilita e si abbrevia ulteriormente il tempo di recupero, soprattutto nei traumi distorsivi, con progressioni di esercizi riabilitativi più rapide, oppure si proteggono atleti particolarmente a rischio di recidive durante allenamenti o gare.

L’insieme di queste tre tecniche di bendaggio adesivo offrono quanto di meglio si possa oggi ottenere come proposta di terapia, rieducazione o prevenzione a vantaggio di pazienti e/o atleti, sfruttando tutte quelle caratteristiche dei materiali adesivi che sono andate ben oltre le iniziali aspettative.

Molto è stato scritto in questi ultimi anni sulla “filosofia” del bendaggio funzionale. A questa ci riferiamo anche noi, nella composizione di questo scritto.

L’impegno maggiore che deve coinvolgere i cultori di questa materia consiste nell’esatta interpretazione delle esigenze specifiche del soggetto da bendare, sia esso sportivo o non, vuoi da un punto di vista terapeutico, vuoi da un punto di vista riabilitativo o anche solamente di prevenzione del trauma.

Ecco perché nella organizzazione  dei corsi sul bendaggio funzionale  ho voluto raccogliere le mie esperienze, oramai più che decennali, augurandomi di poter rappresentare per qualcuno un punto di riferimento dal quale iniziare a sviluppare con sempre maggiore consapevolezza e fiducia quest’affascinante metodica “che ti costringe a camminare”.

 

LORIS STELLA

Ft, Consigliere AIMTES Regione Veneto

 

I NOSTRI PROSSIMI CORSI DI BENDAGGIO FUNZIONALE :

SAB 20 MAGGIO E DOMENICA 21 MAGGIO ARTE HOTEL DI PERUGIA - INFO  E ISCRIZIONI QUI 

 

Bibliografia

Frignani R.: Il bendaggio funzionale in traumatologia sportiva – Piccin Editore 1991

Melegati G.:  Il bendaggio funzionale – VI Congresso Nazionale A.I.T.R. – 30/31 maggio 1996

Condetuca F., Russo G. et al.:  Aspetti preventivi nelle distorsioni del collo piede – J. Sports Traum. 12 – 1990

Neiger H.P., Tamburino P.: Il bendaggio funzionale terapeutico e preventivo della caviglia – XIV Congresso Nazionale L.A.M.I.CA – 1994

Rouillon O.: Lo Strapping – Faenza Ed. – 2000

Stella L.: Il bendaggio funzionale: Moderne applicazioni  - Il bendaggio funzionale di cavigli - Edi Ermes – 2001

Stella L.: Il bendaggio funzionale: Moderne applicazioni  - Il bendaggio funzionale per le affezioni muscolo tendinee dell’arto inferiore - Edi Ermes – 2001

Stella L.: Il bendaggio funzionale: Moderne applicazioni  - Il bendaggio funzionale del ginocchio e della colonna - Edi Ermes – 2001

Stella L.: Il bendaggio funzionale: Moderne applicazioni  - Il bendaggio funzionale dell’arto superiore - Edi Ermes - 2001